“Lo shopping è un atto di sacrificio“.
Questa affermazione non arriva da un marito o da un fidanzato stremato dopo un’estenuante sessione di shopping in compagnia della moglie o della compagna, ma da uno stimato antropologo inglese, Daniel Miller, docente all’University College of London.
A Theory Of Shopping, saggio pubblicato nel 1998, offre una prospettiva originale su una delle più comuni attività quotidiane: fare compere. Lo shopping nel mondo occidentale è generalmente pensato come un’attività glamour. È un’occupazione solitamente associata ai concetti di individualismo e materialismo: nell’immaginario collettivo, infatti, comprare nuovi vestiti, un paio di scarpe o un nuovo iPod è un’attività piacevole, che può eventualmente assumere connotazioni negative nei casi di “eccesso” di shopping.
Miller, al contrario, descrive un tipo di shopping molto differente. Si concentra sulla spesa quotidiana (quella al supermercato, per intenderci) e rifiuta questo presupposto, mostrando come il fare la spesa abbia degli elementi in comune con il concetto di sacrificio. L’argomentazione – supportata da studi antropologici associati a dei sacrifici rituali – si basa sull’idea che l’acquisto di beni sia per lo più legato ad altre relazioni sociali, più specificamente a quelle basate su amore, cura e attenzioni.
Dopo aver osservato per un anno i comportamenti di acquisto di un quartiere a nord di Londra, Miller sviluppa la sua teoria, costruendo l’analogia “shopping-sacrificio” secondo un percorso che si articola su tre fasi principali: nella prima fase, come accade per il sacrificio, lo shopping rappresenta il momento in cui l’accumulo di risorse evolve nel consumo delle stesse. Nella seconda fase si afferma la negazione dello spreco di risorse attraverso un atto di parsimonia, che – secondo Miller – è intrinseco nell’atto stesso del fare la spesa. Nella terza e ultima fase, parte della rinuncia sacrificale viene restituita al mondo reale, per ristabilire l’ordine sociale. Durante lo shopping, cioè, i resti del sacrificio, ovvero ciò che non è stato risparmiato ed è quindi stato sacrificato, ritornano al destinatario sotto forma di un acquisto dedicato.
A supporto di tale teoria, Miller offre degli esempi concreti: molti shopper, ad esempio, sono incapaci di spiegare il motivo per cui stiano cercando di risparmiare e quale sia lo scopo ultimo del loro risparmio e della loro costante ricerca di offerte e saldi. Questo fatto permette all’antropologo di concludere dunque che la logica del risparmio vada oltre le strette necessità di “gestione patrimoniale”, ma rappresenti un “regalo al domani“, un atto che riconosce qualche tipo di scopo futuro, che acquisisce un’importanza maggiore della soddisfazione immediata o di un desiderio transitorio. Il risparmio, dunque, rappresenta l’oggettivazione di obiettivi e valori più grandi: corrisponde cioè all’atto di rinuncia, che all’interno di un sacrificio rituale sostiene e alimenta la relazione col divino.
Miller concepisce gli acquisti non come oggetti, ma come relazioni oggettivate, e in particolare come rapporti d’amore. Attraverso l’acquisto di beni e oggetti, gli acquirenti (nello studio di Miller prevalentemente donne) costruiscono immagini idealizzate di un marito, di un figlio o di qualsiasi altra persona amata, e proiettano queste immagini su persone e relazioni concrete. Ecco quindi il motivo per cui le persone che fanno acquisti per la famiglia cercano di soddisfare le esigenze esplicite dei loro cari, ma provano anche a plasmare le loro scelte verso il miglioramento, ad esempio attraverso l’acquisto di cibi più sani di quanto non farebbero loro stessi.
Un interessante corollario della teoria cerca di confutare il pensiero comune che i ricchi siano più materialisti: Miller descrive mamme single che hanno difficoltà a sbarcare il lunario ma che si preoccupano delle “norme sociali”. Il regalo per il compleanno del compagno di scuola diventa un appuntamento fonte di stress, al punto che gli individui osservati finiscono per spendere molto più di quanto si possano permettere pur di non apparire al di sotto delle aspettative. In un certo senso, quindi, le persone con meno risorse economiche risultano essere più materialiste, in quanto si preoccupano di ciò che (non) possono comprare.
Sebbene la teoria di Miller possa risultare per certi aspetti provocatoria, certamente presenta un punto di vista fresco e originale sul tema, che offre molti spunti di riflessione.